Il delitto in apparenza “risolto” di Sharon Verzeni, presenterebbe ancora tante incongruenze e domande, a detta del criminologo Michel Emi Maritato.
Spesso, la necessità di trovare un colpevole, per alimentare i casi mediatici e il senso di giustizia, potrebbe portare ad una conclusione affrettata.
Siamo in attesa del responso del test del DNA del presunto omicida della 33enne Sharon, per ricondurlo non solo a quest’ultimo delitto, ma anche (e soprattutto), per confrontarlo alle morti di Yara Gambirasio, Danila Roveri, Gianna del Gaudio e Sarbjit Kaur, e altre 4 morti sospette in 8 anni, tutti avvenute a pochi Km di distanza da Terno d’Isola (nella zona della bergamasca, in uno spazio di circa 18km).
Per quanto sia stato scartato quasi immediatamente, la possibilità di un serial Killer, il copione con cui sarebbero rinvenuti i corpi e dettagli agghiaccianti non diffusi inizialmente dagli inquirenti, porterebbero, inevitabilmente, a “coincidenze” improbabili che dovrebbero essere vagliate nello specifico.
Un modus operandi troppo preciso, una maestria impeccabile che lascia sgomenti, per la violenza con cui l’assassino ha infierito su queste donne, prendendole alle spalle, senza un movente apparente.
Tutto ha inizio tra l’agosto e il dicembre del 2016, quando a pochi mesi l’una dall’altra, vengono uccise Daniela Roveri e Gianna del Gaudio, prese di spalle e colpite alla gola con un coltello; nessuna possibilità di fuga e di sopravvivenza. Delitti compiuti con freddezza e maestria, che lascerebbero pensare alla premeditazione e non, ad un raptus improvviso. In uno dei due omicidi, in quello del Gaudio, il marito della donna ammazzata fornisce agli inquirenti un identikit approssimativo dell’assassino, ma non viene creduto, anzi, il cutter utilizzato per uccidere Daniela Roveri, viene ritrovato a meno di un km dall’abitazione della coppia, all’interno di un sacchetto per le mozzarelle e da qui, dopo le prime analisi del DNA, viene indagato il marito della Roveri, successivamente scagionato, a seguito della contaminazione del test.
Tra depistaggi dell’assassino stesso e il fatto comune che, tranne il marito della Roveri, nessuno abbia visto o sentito nulla, chiunque abbia compiuto questi omicidi, sembrerebbe conoscere bene i luoghi.
“Il fattore scatenante di non fare ritrovare elementi utili alle indagini, dopo gli omicidi, ma di portare a similitudini inquietanti tra i delitti, può far confondere le ricerche e tende a far perdere del tempo prezioso”, continua Maritato, “Sono fermamente convinto che si tratti di un serial killer, che non ha una tendenza feticista, come vorrebbe farci credere, in quanto dentro quel sacchetto, con l’arma del delitto, viene ritrovata anche una ciocca di capelli che appartenevano all’insegnante di lettere, stesso particolare che si riscontra nel delitto di Yara Gambirasio che, al momento del ritrovamento del corpo, tiene nella mano un ciuffo d’erba”.
Negli omicidi, le coincidenze non esistono, figuriamoci se le vittime sono 4 e tutte nella stessa zona e con le medesime modalità. Tra indizi esoterici rinvenuti sui corpi delle donne uccise e la poca distanza di azione (8Km) e di ritrovamento dei cadaveri, induce a non poter tralasciare ogni pista investigativa ed, eventualmente, a riprendere in considerazione anche il caso chiuso come “suicidio” di Sarbjit Kaur.